Lo “sgocciolamento” dei panni.
Il regolamento condominiale, di natura contrattuale, può contenere clausole che impongono rigidi divieti
Prima di affrontare questa problematica, va premesso che il regolamento condominiale, di natura contrattuale, può imporre delle limitazioni all’esercizio di diritti dei condomini: sia su parti comuni, ed allora si tratterà di oneri reali; sia su proprietà esclusive ed allora si tratterà di servitù.
La norma di un regolamento condominiale che impone di non sciorinare i panni, riguarda esclusivamente le parti comuni nel rispetto di un generale principio di decoro architettonico e non è dunque applicabile nel caso in cui si tratti del rapporto tra due proprietà individuali. Se il regolamento, di natura contrattuale, impone di non sciorinare i panni, il divieto riguarda le parti comuni dello stabile, nel rispetto di un generale principio di decoro architettonico.
La Cassazione, con sentenza 16 ottobre 1999, n. 11692 , ha precisato che in materia di condominio degli edifici, l’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongono limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà. L’obbligo assunto dai singoli condomini in sede di approvazione del regolamento condominiale, di non eseguire sul piano o sulla porzione di piano di proprietà esclusiva attività che rechino danno alle parti comuni (nella specie l’obbligo di non sciorinare i panni fuori dalle finestre, dai balconi ecc.) ha natura di obbligazione “propter rem”, la cui violazione, pur se prodotta oltre i venti anni, non determina l’estinzione del rapporto obbligatorio e dell’impegno a tenere un comportamento conforme a quello imposto dal regolamento, onde è sempre deducibile, stante il carattere permanente della violazione, il diritto degli attori condomini di esigere l’osservanza di detto comportamento, potendo prescrivere soltanto il diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione dell’obbligo in questione. Qualora il singolo violi il divieto previsto dal regolamento condominiale, gli altri condomini hanno il diritto di esigerne l’osservanza anche attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria.
Una recente sentenza, emessa dal Tribunale di Genova, Sezione III civile, (n. 656/2015) -segnalata dal Centro Studi APPC per conto degli avv.ti Valentina Massara e Roberto Negro – ha analizzato un caso in cui il regolamento condominiale vietava espressamente l’utilizzo di stenditoi per sciorinare i panni all’esterno dell’edificio. Nel caso di specie, un condomino lamentava il comportamento di un suo vicino che per mezzo di uno stenditoio amovibile, collocato sul davanzale di una finestra, per sciorinare i panni all’esterno che provocava il gocciolio dei panni. Il vicino si difendeva eccependo la sporadicità e saltuarietà del fatto. Il Giudice genovese, invece basando la sua decisione esclusivamente sulla interpretazione letterale del regolamento condominiale avente natura contrattuale, ha tralasciato il fatto che lo sgocciolio avesse carattere episodico, visto che il Regolamento contrattuale aveva natura di “obligatio propter rem” per cui ogni condomino aveva “il diritto di esigere l’osservanza di detto comportamento conforme a quanto imposto dal regolamento stesso“. Per tali motivi deve ritenersi vincolante il regolamento condominiale contrattuale che ben poteva prevedere clausole che imponevano divieti e che di fatto incidessero sui diritti dei soggetti facenti parte del Condominio.
Da ultimo è necessario ricordare che l’amministratore di condominio può attivarsi per far cessare gli abusi. È, altresì, nelle sue facoltà, ai sensi dell’art. 70 att. c.c., anche quello di irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili di siffatte violazioni del regolamento, lo stesso preveda tale possibilità. In tal modo si è espressa la Corte di legittimità in un caso in cui un condomino batteva panni, tappeti e tovaglie da tavola dai piani superiori oltre l’orario previsto dal regolamento di condominio nonché dal regolamento di polizia urbana. Inoltre il medesimo, aveva esposto uno stendibiancheria al quinto piano dello stabile, fuori dalla finestra, sul muro perimetrale, che alterava il decoro architettonico dell’edificio. (Cassazione del 26 giugno 2006, sentenza n° 1473.)
Stendere i panni in condominio. I limiti contenuti nel codice civile, nel regolamento di polizia urbana ed in quello di condominio. Come tutelarsi
E’ cosa usuale che i condomini stendano i panni all’esterno del proprio balcone. Tale operazione è effettuata o tramite l’avvicinamento e l’esposizione dello stendino mobile al bordo del balcone oppure, è un’ipotesi molto ricorrente, tramite il fissaggio alla ringhiera del balcone stesso di stendibiancheria che sporgono al di fuori della proprietà esclusiva.
Sciorinare i panni in questo modo, molte volte, soprattutto per i condomini che al piano terra hanno un giardino o un cortile di proprietà esclusiva, è causa di fastidio e conseguentemente d’impossibilità di fruire appieno delle pertinenze della propria unità immobiliare.
La domanda, pertanto, sorge spontanea: è tutto lecito? Che cosa fare per verificarlo?
Per comprendere al meglio a quali norme bisogna fare riferimento è utile citare una sentenza datata maggio 2007 della Suprema Corte di Cassazione.
I giudici di legittimità hanno evidenziato che lo “stillicidio, sia delle acque piovane, sia, ed a maggior ragione, di quelle provenienti (peraltro con maggiore frequenza) dall’esercizio di attività umana,quali quelle derivanti dallo sciorinio di panni mediante sporti protesi sul fondo alieno (pratiche comportanti anche limitazioni di aria e luce a carico dell’immobile sottostante), per essere legittimamente esercitato, debba necessariamente trovare rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù ad hoc o, comunque, ove connesso alla realizzazione un balcone aggettante sull’area di proprietà del vicino, essere esplicitamente previsto tra le facoltà del costituito diritto reale” (Cass. 28 maggio 2007 n. 7576).
In primi luogo, quindi le norme generali cui fare riferimento sono quelle dettate in materia di stillicidio. Esse, non prevedono in alcun modo un riconoscimento generale del diritto a sciorinare i panni. Una simile facoltà può essere riconosciuta solamente tramite la concessione di una servitù. Quest’ultima non è prevista ex lege ma può solamente essere concessa solo dal proprietario del fondo servente che, volontariamente, potrebbe decidere d’assoggettarsi allo scolamento dei panni stesi ad asciugare da parte del proprietario del piano superiore. In primo luogo quindi è consigliabile consultare l’atto d’acquisto ed il regolamento di condominio. Quest’ultimo che solamente se di natura contrattuale può essere titolo idoneo a riconoscere e disciplinare tale diritto di sciorinio dei panni. In ogni caso l’esercizio prolungato nel tempo ed incontestato di una simile pratica può portare all’usucapione della servitù. Oltre che degli atti è quindi necessario avere contezza dello stato dei luoghi e della prassi invalsa nel lungo periodo.
Un limite ulteriore può essere previsto dai regolamenti di polizia locale del comune in cui è ubicato l’immobile. Molti regolamenti, soprattutto per ciò che concerne sciorinio e sbattimento dei panni sui prospetti che si affacciano sulla pubblica via, vietano tali pratiche, per ragioni di decoro urbano, o meglio le limitano a determinati orari della giornata. In questi casi, anche se sussiste una servitù nel senso sopra specificato il proprietario del fondo dominante non potrà stendere i panni se non alle condizioni previste in questo regolamento.
Che può fare il soggetto che ritiene di essere danneggiato dalla condotta illecita altrui?
In primo luogo, per corroborare il proprio convincimento, dovrà verificare che in nessuno degli atti succitati ossia atto d’acquisto e regolamento condominiale contrattuale) sia riconosciuto l’esercizio di una simile facoltà. In secondo luogo prendere informazioni sulla prassi (se ad esempio il trasferimento nell’unità immobiliare oggetto dello sgocciolamento è recente) al fine di comprendere se possa essersi in saturata una servitù. Successivamente sarà utile consultare il regolamento di polizia urbana per constatare l’eventuale violazione di norme in esso contenute.
Solo dopo queste verifiche e solamente se l’interessato riscontrerà delle irregolarità nella condotta, egli potrà contestarle tramite una formale diffida a evitare comportamenti illeciti e per quanto di loro competenza anche per mezzo di una segnalazione alla polizia municipale (autorità tenuta a far rispettare il regolamento di polizia urbana).
LE RICORRENTI PROBLEMATICHE DEI CANI CHE ABBIANO E DEL SUONARE UN QUALSIASI STRUMENTO MUSICALE
In entrambe le ricorrenti ipotesi, nel caso di molestie e rumori derivanti dal tenere i cani e suonare strumenti musicali, i condomini lesi possono far cessare tali fattispecie in via giudiziale e ottenere il risarcimento dei danni, nel caso in cui siano stati posti in essere rumori intollerabili.
Infatti, specificatamente, “in caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi natura, il continuo abbaiare di tre cani pastore ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale norma regolamentare, che la violazione dell’art. 844 c. c. (che vieta le immissioni di rumori che superino la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi).(Trib. Milano, 28/05/1990)
NEL CASO DI MANCANZA DI ESPLICITA PREVISIONE REGOLAMENTARE.
IL CONCETTO DI RUMORI INTOLLERABILI
“Quando il bene della tranquillità dei partecipanti al condominio sia espressamente tutelato da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex articolo 844 del c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall’indicata norma generale sulla proprietà fondiaria. Né, peraltro, in detta materia è applicabile la legge 26 ottobre 1995 n. 447, sull’inquinamento acustico, perché detta normativa attiene a rapporti di natura pubblicistica tra la pubblica amministrazione e i privati esercenti le attività contemplate, prescindendo da qualunque collegamento con la proprietà fondiaria. Il limite di tollerabilità delle immissioni deve essere determinato dal giudice con riguardo alla condizione dei luoghi e delle attività normalmente svolte in un determinato contesto. Il criterio comparativo assume come punto di riferimento il rumore di fondo, ritenendosi intollerabili le immissioni che lo superano di 3 decibel, ciò che equivale a un raddoppio dell’intensità del rumore di fondo. (Trib. Bologna, Sez. III, 11/05/2004)
Se i bambini disturbano il riposo all’intero condominio, i genitori vanno in galera.
La Cassazione conferma: impedire il riposo integra gli estremi del reato di cui all’art. 659 cod. pen.
Quando il rumore diventa disturbo. La Cassazione torna ad occuparsi del disturbo del riposo delle persone. Torna, perché negli scorsi mesi il Supremo Collegio si era infatti già interessato della questione: ne avevamo dato conto, parlando di cani un po’ troppo petulanti e di pianoforti molesti ma da allora, la musica non è cambiata.
Questa volta sul banco degli imputati (loro in senso metaforico: i loro genitori in senso fisico) finiscono quei bambini che di smettere di far rumore non vogliono proprio saperne, nemmeno nelle ore notturne. Così alcuni condomini si ribellano e, risultate vane le lettere di richiamo dell’amministratore di condominio, passano alle denunce. Intervengono anche i carabinieri, che in più occasioni constatano in effetti l’esistenza di “rumori prodotti dall’improvviso e fragoroso abbattimento delle tapparelle, lasciate cadere con forza, da passi marcati sul pavimento, da colpi sordi, dallo sbattimento della tavoletta del w.c., dallo spostamento di mobili e suppellettili”, ma nemmeno i richiami ed ammonimenti formali dei militari ha evitato che tali rumori si ripetessero nel tempo, tanto da diventare un vero e proprio disturbo per il riposo dell’intero condominio.
Il disturbo va punito, anche se non volontario. Al cospetto di una situazione del genere i giudici di primo e secondo grado non hanno potuto far altro che condannare i genitori di quei bambini che impediscono anche agli altri condomini di riposare e dormire. Il reato imputato e riconosciuto addebitabile è quello previsto dall’art. 659 del cod. pen., ossia disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone: tale reato, essendo di tipo contravvenzionale, sussiste indipendentemente dalla volontà di compierlo, ben potendo configurarsi anche in ipotesi di mera colpa, come nel caso esaminato dalla Suprema Corte nel caso deciso con la sentenza n. 12939 del 19/03/2014.
Ed invero benché gli autori dei rumori e quindi del disturbo fossero i bambini, ad essere condannati sono stati i genitori perché, quali esercenti la potestà sugli stessi ed essendo naturalmente responsabili delle azioni compiute dai loro figli, non hanno impedito che questi arrecassero l’accertato disturbo ad un intero condominio.
Per tale ragione a nulla rileva la circostanza, adottata dai genitori che hanno appellato la sentenza di condanna inflitta in prima e secondo grado, secondo i quali la ragione dei rumori fosse da ascrivere al sonnambulismo da cui sarebbe afflitta la loro figlia minore: i Giudici spiegano proprio “per la sua natura contravvenzionale, il reato contestato è addebitabile anche a fronte di un comportamento colposo, riscontrabile nel mancato controllo sui movimenti di eventuali figli minori”.
La diffusione del rumore: il disturbo circoscritto non integra gli estremi del reato. “Per la configurabilità del reato di cui all’art. 659 c.p. è necessario che i rumori abbiano una certa attitudine a propagarsi, in modo da essere idonei a disturbare più persone. Pertanto, quando si tratta di rumori prodotti in edificio condominiale è necessario che essi, tenuto conto anche dell’ora (notturna o diurna) in cui vengono prodotti, arrechino disturbo ovvero abbiano l’idoneità concreta di arrecare disturbo ad una parte notevole degli occupanti del medesimo edificio” (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 3348 del 16/01/1995).
Questa massima, sancita ormai vent’anni fa, resta assolutamente attuale, tanto da esser stata espressamente richiamata dai Giudici di legittimità nella sentenza in commento ove viene infatti chiarito che “quando l’attività disturbante si verifichi in un edificio condominiale, per ravvisare la responsabilità penale del soggetto agente, non è sufficiente che i rumori arrechino disturbo o siano idonei a turbare la quiete e le occupazioni dei soli abitanti l’appartamento inferiore o superiore, ma deve ricorrere una situazione fattuale diversa di oggettiva e concreta idoneità dei rumori ad arrecare disturbo ala totalità o ad un gran numero di occupanti del medesimo edificio, oppure a quelli degli stabili prossimi: insomma ad una quantità considerevole di soggetti. Soltanto in tali casi potrà dirsi turbata o compromessa la quiete pubblica” (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 12939/2014).
Senza un disturbo generalizzato non è reato. È importante chiarire questo dal momento che, poiché l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, “i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare” (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 47298 del 29/11/2011).
“Ne consegue che per affermare la sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. è necessario procedere all’accertamento della natura dei rumori prodotti dal soggetto agente e alla loro diffusività, che deve essere tale da far risultare gli stessi rumori idonei ad arrecare disturbo ad un numero rilevante di persone e non soltanto a chi ne lamenta il fastidio” (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 3348/1995).
In caso contrario, ove i rumori rechino disturbo ad un numero più ristretto e ben determinato di persone, essi configurano soltanto un illecito civile, avverso il quale si potrà al massimo ricorrere alla tutela del giudice civile chiedendo un risarcimento.
Carcere e risarcimento per genitori poco attenti dell’altrui diritto al riposo.
Il risarcimento del danno, unica strada percorribile in caso di rumori circoscritti in ambiti spaziali meno ampi, si aggiunge invece alla condanna penale nel caso in cui essi molestino quel “numero rilevante di persone” che, come chiarito dalla stessa Cassazione, ben può essere rappresentato da un intero condomino: in simili ipotesi, pertanto, sussistenti gli estremi del reato di cui all’art. 659 cod. pen., il risarcimento del danno si sommerà al carcere, pena prevista dalla contravvenzione in parola.
E difatti, nel caso di specie, a 2 mesi di arresto sono stati condannati quei genitori “distratti” e comunque noncuranti dei richiami, delle lettere e finanche delle querele che pure continuavano a subire: giusta pertanto la condanna, perché l’educazione della prole passa anche e soprattutto attraverso l’insegnamento di valori quali il rispetto (del riposo) altrui.
Che cosa fare se i bambini dei vicini giocano nel cortile condominiale nelle prime ore del pomeriggio?
I bambini tirano pallonate potenti, delle vere e proprie bordate, contro il muro nel cortile condominiale.
Le urla dei bambini che corrono nel cortile sono insopportabili!
Il tutto nelle prime ore del pomeriggio d’estate quando si vuol riposare: che cosa possiamo fare?
Prima regola in una situazione del genere: non prendersela con i bambini. Usare la famosa frase “ve lo taglio quel pallone” o “qui c’è gente che vuole dormire” serve a poco o a nulla:
1) con i bambini dopo qualche minuto d’attenzione, forse il risultato sarà l’opposto, il gioco fa dimenticare molte cose;
2) la colpa principale non è loro ma dei loro genitori.
Certo di fronte a degli adolescenti la situazione può essere diversa o comunque se si parla in modo ragionevole e non severo anche i più piccoli potranno comprendere. L’importante è non esagerare.
Ma esattamente che cosa si può fare ed ottenere?
E’ bene ricordare che il cortile condominiale è un bene comune soggetto alla disciplina di cui al primo comma dell’art. 1102 c.c. secondo il quale:
“Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.”
Se il cortile è pieno di aiuole, è evidente che una cosa e poterci giocare a “nascondino” o fare altri giochi (es. giochi di società, “campana”, ecc.) per così dire meno invasivi, altro giocarci a pallone. Quest’ultimo sarà sicuramente un gioco vietato in quanto contrario alla destinazione di quella parte comune. Se, invece, il cortile è uno spiazzo mattonato non si pongono problemi di sorta.
Ed in casi più particolari? Ad esempio se il cortile o l’altro spazio comune è utilizzato come parcheggio?
Secondo la Cassazione, chiamata più volte ad interpretare l’art. 1102 c.c., ” il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, che resta affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza; che la nozione di pari uso del bene comune non è da intendersi nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell’unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine“(su tutte Cass. 16 giugno 2005 n. 12873).
Insomma nel parcheggio è difficile, a livello giuridico, poter sostenere (per questioni legate alla salubrità dell’aria, alla sicurezza delle persone ed anche alla sicurezza delle automobili) che si possa parcheggiare e giocare contemporaneamente anche se poi, lo sappiamo la pratica quotidiana che la situazione è differente.
Ognuno ha il diritto di fare tutto ciò che il bene consente di fare anche non contemporaneamente ma senza che la propria condotta possa risultare lesiva del pari diritto altrui.
Certo è che di fronte ad un cartello vietato giocare si può far poco.
Nelle altre situazioni, invece, ossia quando lo spazio comune è utilizzabile per i giochi dei più piccoli, si potrà pretendere, al di là di previsioni regolamentari in tal senso, che l’uso delle parti comuni per i giochi sia fatto senza recar disturbo agli altri. Una causa, per questioni del genere, sarebbe assurda, quindi meglio discutere con i propri vicini e cercare, con ogni sforzo, di fargli capire le proprie ragioni.
Il cortile condominiale può essere utilizzato per parcheggiare le autovetture
Perché il cortile condominiale non può essere utilizzato come spazio destinato al parcheggio? La domanda viene posta spesso da chi si vede imposto un divieto di sosta e/o di fermata.
In effetti il divieto d’uso del cortile condominiale quale parcheggio può essere previsto:
- a) dal regolamento condominialeche però deve contenere le norme disciplinanti l’uso delle cose comuni;
- b) perché lo stato dei luoghi, nel caso in esame la particolare conformazione del cortile, rendano impossibile il parcheggio delle autovetture, potendo configurare tale modalità di utilizzazione una violazione dell’art. 1102 c.c.
Mentre nel primo caso il divieto può essere posto all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria attraverso l’impugnazione della clausola regolamentare (cfr. art. 1138 c.c.), nel caso di cui al punto b) il divieto non può che discendere da una valutazione giudiziale dello stato dei luoghi in relazione all’art. 1102 c.c.
Detta diversamente: se il regolamento (o comunque l’assemblea) non dice nulla, solamente un giudice può stabilire come illegittimo il parcheggio nel cortile condominiale.
In questo contesto, è utile ricordare, che “il cortile, tecnicamente, è l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare aria e luce agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all’ampia portata della parola e, soprattutto, alla funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, i distacchi, le intercapedini, i parcheggi – che, sebbene non menzionati espressamente nell’art. 1117 cod. civ., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione” (Cass. 9 giugno 2000, n. 7889).
Il cortile, quale parte comune, può essere utilizzata da tutti i condomini allo stesso modo ma tale uso, in osservanza di quanto stabilito dell’art. 1102 c.c.:
- a) non può ledere il pari diritto degli altri;
- b) non può recare pregiudizioalla sicurezza, stabilità e decoro dell’edificio.
Così, per restare all’esempio del parcheggio, se non è possibile il contemporaneo parcheggio di tutte le autovetture dei condomini, è lecita la deliberazione di utilizzazione turnaria, mentre sarebbe da considerarsi illecito il parcheggio, anche di un solo condomino, se ciò rendesse impossibile il normale accesso ed uso del cortile anche agli altri.
In un caso risolto dalla Cassazione con la sentenza n. 9522 del 30 aprile 2014, si litigava in merito alla utilizzazione del cortile quale parcheggio comune. Utilizzazione lecita per il giudice di primo grado, illecita per quello d’appello. La Cassazione ha bocciato la decisione di seconde cure in quanto il giudice che l’aveva adottata non aveva tenuto in considerazione, tra le varie cose, il seguente principio: “non costituisce violazione della fondamentale regola paritaria dettata dall’art. 1102 c.c. un uso più intenso della cosa da parte del partecipante, che non ne alteri la destinazione nei casi in cui il relativo esercizio non si traduca in una limitazione delle facoltà di godimento esercitate dagli altri condomini”, fermo restando che “per quanto attiene, in particolare, ai cortili, ove le caratteristiche e le dimensioni lo consentano ed i titoli non vi ostino, l’uso degli stessi per l’accesso e la sosta dei veicoli non è incompatibile con la funzione primaria e tipica di tali beni” (Cass., sez. II, 15 giugno 2012, n. 9875)” (Cass. 30 aprile 2014 n. 9522).
Che poi altro non vuol dire che: non è possibile vietare a priori il parcheggio nel cortile condominiale.
Cortile stretto? Le auto passano comunque.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6178 del 17 marzo 2014, è tornata ad occuparsi dell’uso delle cose comuni ed in particolare dell’uso del cortile condominiale.
La sentenza non rappresenta una novità, anzi s’inserisce nel novero di quelle già pronunciate in materia di uso del cortile condominiale.
L’uso delle cose comuni.
E’ cosa nota che, ai sensi del primo comma dell’art. 1102 c.c., ogni condomino possa servirsi “della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa“.
Si tratta del così detto pari diritto d’uso dei beni comuni nel rispetto della loro destinazione e del diritto degli altri.
Uso del cortile condominiale.
Nel caso risolto dalla sentenza n. 6178 del 17 marzo 2014, le parti litigavano in relazione all’uso del cortile a loro comune.
Quella che aveva promosso il giudizio chiedeva venisse accertata e dichiarata l‘illegittimità del transito in quanto le ridotte dimensioni dell’area cortilizia lo rendevano incompatibile con l’uso dell’area stessa.
Il convenuto, chi quel cortile usava come zona di transito, pretendeva che ne fosse dichiarata l’usocapione.
Nel primo grado la domanda attorea veniva rigettata e mentre in appello non solo veniva rigettata la richiesta di accertare l’usocapione della servitù di passaggio, ma si riteneva illegittimo il passaggio veicolare anche ai sensi dell’art. 1102 c.c.: insomma il cortile era troppo piccolo per essere usato in quel modo.
La controversia ha avuto fine davanti ai giudici, i quali hanno cassato la sentenza impugnata.
Motivo? L’errata applicazione dell’art. 1102 c.c. in relazione al cortile condominiale. Si legge in sentenza che “tra le destinazioni accessorie del cortile comune – la cui funzione principale è quella di dare aria e luce alle varie unità immobiliari – rientra indubbiamente quella di consentire ai condomini l’accesso a piedi o con veicoli alle loro proprietà, di cui il cortile costituisce un accessorio, nonché la sosta anche temporanea dei veicoli stessi, senza che tale uso possa ritenersi condizionato dall’eventuale più limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato (Cass. n. 13879 del 09/06/2010 ; Cass. n. 5848 del 16/03/2006)” (Cass. 17 marzo 2014 n. 6178).
Ciò, ha specificato la Corte regolatrice, anche se il cortile è di piccole dimensioni.
“Se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permetta un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; peraltro fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale” (Cass. n. 24647 del 03/12/2010; Cass. n. 13036 del 04/12/1991)” (Cass. 17 marzo 2014, n. 6178).
Fasce orarie in cui si possono suonare gli strumenti musicali in condominio.
In ambito condominiale, le attività dedite alla attività canore o musicali, possono incontrare il limite delle norme contenute nel regolamento condominiale. Infatti il regolamento di condominio contiene un elenco di divieti di natura eterogenea a carico dei condomini. In generale, le norme possono così suddividersi:
- norme di comportamento: si riferiscono all’utilizzazione dei beni comuni, queste hanno piena vincolatività quali norme tipicamente regolamentari;
- norme di godimento ed utilizzo delle proprietà esclusive: sono sorrette da consenso contrattuale e quindi sono in grado di porre limitazioni ai diritti dei relativi proprietari);
All’interno del regolamento condominiale, al fine di disciplinare determinati comportamenti dei singoli condomini, capita spesso di trovare il seguente articolo:
Divieti a carico dei condomini.
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È vietato arrecare disturbo agli altri condomini, specie nelle ore di riposo diurno e notturno.
Tra le ore 13 e le ore 15, e tra le ore 23 e le ore 8, qualsiasi rumore o suono, naturale o artificiale, dovrà essere attenuato in modo tale da non arrecare alcun pregiudizio ai vicini.
Gli strumenti musicali potranno essere utilizzati esclusivamente nei seguenti orari: dalle ore … alle ore … e dalle ore … alle ore ….
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Può anche capitare di trovare alcuni regolamenti che addirittura contengano una normativa ancor più rigorosa di quanto disposto dall’art. 844 cod. civ. e che dispongano un divieto tassativo di svolgere determinate attività. In tali casi in presenza di una clausola regolamentare disciplinante le immissioni sonore, il giudice sarà chiamato a risolvere la controversia non in base a quanto disposto dall’art 844 cod. civ., bensì sul criterio di valutazione fissato dal regolamento condominiale (Cfr. Cass. 14/11/1978, n. 5241).
Quindi, se ci troviamo di fronte ad una regolamento predisposto dall’originario proprietario, il medesimo vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per quelle clausole che disciplinano il godimento della parti comuni ma anche per quelle che restringono l’uso e i poteri e le facoltà dei singoli condomini all’interno delle loro proprietà esclusive. Pertanto, nel caso in cui il regolamento disponga un divieto in merito alla realizzazione di determinate attività (scuola di danza, attività musicali ecc.), non occorre accertare se tale immissione sia o meno vietata ai sensi dell’art 844 cod. civ., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono legittimamente imporre delle limitazioni al godimento delle proprietà esclusive ancor più rigorose di quanto prescritto dall’art 844 cod. civ.
L’uso delle cose comuni dev’essere fatto senza mutamenti di destinazione d’uso e se c’è un accordo dev’essere in forma scritta
Posizionare una pianta affianco alla porta d’ingresso della propria abitazione sul pianerottolo comune rappresenta un caso classico di uso di cosa comune. Lo stesso dicasi del parcheggio di biciclette o motorini nel cortile. Tutti comportamenti teoricamente legittimi, salvo limitazioni contenute nel regolamento condominiale (che se di natura contrattuale può imporre veri e propri divieti assoluti) o violazione dell’art. 1102, primo comma, c.c.
Come deve comportarsi un condomino per utilizzare i beni comuni senza che ciò possa recare pregiudizio agli altri partecipanti al condominio? La sentenza n. 944 resa dalla Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione con deposito in cancelleria il 16 gennaio 2013 ha il merito di rispondere alla domanda in modo chiaro e preciso.
Divieto di alterazione della destinazione della cosa e divieto di impedire agli altri di fare parimenti uso? Come valutare questi aspetti?
Quanto al primo dei due aspetti, la Corte di Cassazione ricorda che al principio per cui l’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 cod. civ., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini (Cass. nn. 11138 del 1994; Cass. n. 1536 del 2000; Cass. n. 16117 del 2000) (Cass. 16 gennaio 2013 n. 944).
Se una cosa serve alle unità immobiliari dell’edificio, uno dei condomini non può utilizzarla a vantaggio di altra sua unità immobiliare ubicata al di fuori di quel contesto (com’è stato appurato nel caso di specie).
Quanto all’uso paritario gli ermellini, in conformità a propri consolidati pronunciamenti, hanno affermato che “per stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; l’uso deve ritenersi in ogni caso consentito, se l’utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso non dia luogo a servitù a carico del suddetto bene comune (Cass. 16 gennaio 2013 n. 944).
In buona sostanza, se c’è un parcheggio condominiale e v’è un posto auto per ogni unità immobiliare, il condomino che colleziona autovetture non può utilizzarlo come deposito, anche se gli altri non fanno mai uso di quei posti.
Sentenza n. 944: alcuni condomini avevano installato in un corridoio comune un armadietto di cui i giudici di merito avevano ordinato la rimozione.
La Cassazione ha ribadito questo orientamento specificando due aspetti:
- a) a nulla vale che vi fosse assenso a quell’utilizzo perché di tale fatto non era stata fornita prova scritta;
- b) a nulla vale il fatto che vi fosse lo spazio per realizzare altro armadietto a beneficio di chi ne contestava la legittimità.
In tal senso si legge in sentenza che “la Corte d’appello ha affermato la ininfluenza, ai fini della limitazione dell’uso della cosa comune, di un accordo intercorso tra i condomini; e deve ritenersi che ciò abbia fatto correttamente, atteso che, incidendo la collocazione dell’armadio nel corridoio comune sull’uso di un bene immobile, lo stesso avrebbe dovuto essere formalizzato per iscritto; il che non è nella specie neanche stato allegato dai ricorrenti incidentali. Del tutto priva di rilievo è poi la circostanza che altro armadietto potrebbe essere collocato su iniziativa dei ricorrenti principali, non potendo conseguire ad una indebita occupazione di uno spazio comune la legittimazione della occupazione fatta da altro condomino del medesimo spazio comune”(Cass. 16 gennaio 2013 n. 944).
Insomma l’accordo dev’essere provato per iscritto e un uso illecito della cosa comune non può essere “compensato” da un altro uso illecito.
Parcheggiare le bici nel cortile condominiale anche se vietato
L’uso di quello che viene definita la “cosa di tutti” è spesso oggetto, nei condominii, di liti.
È utile stabilire cosa si intende per cortile e il fine per cui esiste. L’uso principale, secondo giurisprudenza costante, è quello di fornire aria e luce agli appartamenti, o ancora di garantire il passaggio di cose e mezzi quando questo sia possibile e necessario, ogni altro utilizzo è negato e vietato. La proprietà del cortile, in assenza di atti di proprietà esclusiva, è per presunzione comune. A questi usi principali possono, per accordi o per prassi, aggiungersene altri come ad esempio del parcheggio dei condomini, parco gioco per i bambini, allocazione dei secchi per la raccolta differenziata dei rifiuti, aree di riposo con panchine ecc. Una cosa importante da ricordare è che l’uso del cortile, può essere anche di fatto esercitato da un solo condomino a suo vantaggio, ma a questo utilizzo deve corrispondere la possibilità, per gli altri condomini, di farne pari uso, non uso identico, ma pari possibilità di farlo.
Alle superiori specificazioni, così come prima accennato, è possibile porre dei limiti e dei divieti tramite i regolamenti condominiali. Ad esempio: si può impedire che bambini giochino con bici, che siano parcheggiati bici e motorini, che i panni vengano stesi in affaccio al cortile, o che vengano sbattuti i tappeti. Per modificare un certo uso del cortile, previsto dai regolamenti condominiali, è sufficiente la maggioranza degli intervenuti, atteso che trattasi di clausole previste convenzionalmente dall’assemblea. Tale principio è stato ribadito dalla sentenza della Cassazione n. 17694/2007 che all’uopo stabilì che: Se un divieto riguarda le “modalità d’uso di un cortile interno condominiale senza incidere su diritti ed obblighi dei singoli condomini”, esso può essere posto e tolto con l’assenso della maggioranza degli intervenuti in assemblea che possieda la maggioranza dei millesimi.
Un altro comune argomento di disputa è se sia possibile o meno porre nel cortile biciclette, in presenza di un divieto nel regolamento. Infatti negli anni si è discusso molto sulla possibilità di parcheggiare le bici nel cortile condominiale anche se vietato.
La questione è stata risolta, almeno per interpretazione giurisprudenziale, delle norme coinvolte nonché degli interessi che dovevano essere tutelati, dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano 6 febbraio 2008, n. 666, che può fingere da monito per tutte le altre città. La sentenza menzionata ha stabilito che il divieto previsto dal regolamento è valido in assenza di norme comunali che impongono la possibilità di parcheggiare biciclette negli spazi comuni dei condomini esistenti.
Pensiline in condominio, limiti e diviti
La casistica relativa alla installazione di tettoie, pensiline e tende retrattili o fisse da parte del singolo condomino, risulta tutt’oggi molto ampia. In realtà si tratta di una questione di limiti che si basa, in buona sostanza, da una regolamentazione dei rapporti di buon vicinato contemplando interessi contrapposti: da un lato quello del condomino di godere di aria, luce e visuale, dall’altro quello dell’inquilino del piano superiore a non avere interferenze, dirette o indirette, nel godimento del proprio diritto.
In linea generale si può affermare che ciascun condomino ha la facoltà di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri condomini, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di questi ultimi. L’art. 1102 cod. civ. assicura, al singolo partecipante maggiori possibilità di godimento della cosa, entro determinati limiti, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità.
La cosa comune può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare, se l’utilizzo di quest’ultima:
- non alteri l’equilibrio degli altri comproprietari;
- non determini pregiudizievoli invadenze;
- non pregiudica la stabilità o alla sicurezza del fabbricato;
- non altera il decoro architettonico.
Infine, nel quadro dei limiti all’uso della cosa comune va inserito anche il contemperamento delle norme sulle distanze, laddove applicabili. In questo contesto si inserisce la recente sentenza della Cassazione che ha stabilito il seguente principio: “l’estensione del diritto di ciascun comunista, trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti” (Cfr. Cass., 10453/2011).
Dal punto di vista pratico la realizzazione della pensilina può ritenersi legittima in quanto:
- l’opera seppure realizzata senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue è ritenuta compatibile con la struttura dell’edificio condominiale;
- vista la fragilità del manufatto, il medesimo non poteva certo agevolare l’introduzione di ladri nell’appartamento soprastante;
- non vi è lesione del diritto di veduta, stante il materiale trasparente di cui erano costituite le pensiline, e quindi non impedisce la veduta ai proprietari del piano sovrastante.
Ulteriore problematica strettamente collegata è quella delle distanze.
Ovviamente, si dovrà sempre tener conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini. Il giudice dovrà di volta in volta verificare se le distanze legali siano o meno compatibili con i diritti dei condomini oppure con la struttura dell’edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi.
La giurisprudenza (Cass., 18 marzo 1991 n. 2873 Cass., 2 ottobre 2000, n. 13012; Cass., 5 aprile 2000, n. 4190; Cass., 18 marzo 1991, n. 2873) ha affermato che in caso di installazione di una tenda di tela scorrevole con comando a manovella non può considerarsi “costruzione” vietata, pure se situata a distanza inferiore a tre metri dal balcone o dalla finestra del piano sovrastante, ancorché siano necessari per farla funzionare dei sostegni fissi, atteso che tale tenda, non pregiudica permanentemente la prospectio né diminuisce l’aria e la luce al condomino del piano sovrastante. Quindi se trattasi di una tenda mobile, per la sua stessa conformazione, viene aperta temporaneamente restringendo la visuale solo in un piccolo tratto e per determinate ore del giorno. L’opera è quindi compatibile con la struttura dell’edificio condominiale senza provocare una lesione concreta al diritto di veduta.
Orario per l’utilizzazione degli elettrodomestici in condominio
Si pensi a lavatrice, aspirapolvere, trapani, ecc.
La risposta non è univoca, ossia tali norme possono esistere e per saperlo bisogna guardare a due tipologie di fonti normative:
- a) il regolamento di polizia urbana del Comune in cui è ubicato l’immobile;
- b) il regolamento condominiale (Regolamento di condominio. Natura assembleare o natura contrattuale. Contenuto delle clausole. Divieti, limiti e quorum deliberativi.).
Regolamento di polizia urbana
Portiamo l’esempio del regolamento di polizia urbana della Città di Milano. L’art. 83, di tale regolamento recita:
E’ vietato nella casa fare rumori incomodi al vicinato ed uso eccessivo di strumenti musicali e simili, specialmente dalle 22 alle ore 8.
Allo stesso modo il regolamento di polizia urbana della Città di Firenze, all’art. 25 specifica che “è fatto divieto a chiunque di recare disturbo, […], con rumori, schiamazzi, strumenti musicali o altri mezzi di diffusione”.
Le norme, chiaramente, non si riferiscono esclusivamente all’utilizzazione di elettrodomestici, ma impongono un generale divieto di recare disturbo. È altresì evidente che le norme non impongono il silenzio. La rumorosità è elemento spesso inscindibile rispetto all’esercizio di determinate attività o all’uso di specifici oggetti. Ciò che le norme pretendono è, nella sostanza, l’utilizzazione in modo tale da non recare disturbo. Un conto è utilizzare una lavatrice durante la giornata, altro farlo nel cuore della notte.
Eppure qualcuno potrebbe obiettare che proprio nelle ore serali è più conveniente utilizzare questo elettrodomestico per ragioni di risparmio (l’energia spesso costa di meno nelle ore serali). Vero, ma allora bisognerà fare in modo che l’uso non avvenga nelle ore del riposo notturno, ma ad esempio, prima delle 22.
In tali casi l’accertamento delle violazione è rimesso alla polizia locale, che dev’essere chiamata ad intervenire.
Regolamento condominiale (La distinzione delle clausole del regolamento contrattuale)
Il regolamento condominiale, se di natura contrattuale (ossia accettato da tutti i condòmini al momento dell’acquisto dell’unità immobiliare dall’originario unico proprietario o anche formato successivamente), può contenere norme che limitino le facoltà d’uso dei singoli comproprietari sulle parti comuni e su quelle di proprietà esclusiva.
Insomma il regolamento condominiale contrattuale potrebbe vietare l’utilizzazione di lavatrici, aspirapolvere ed in generale di elettrodomestici rumorosi dentro determinate fasce orarie.
La violazione del regolamento condominiale può essere sanzionato con il pagamento di somme di denaro e/o richiedere la cessazione tramite all’Autorità Giudiziaria.
Elettrodomestici rumorosi e codice civile
Se il regolamento di polizia urbana e quello condominiale non dovessero disporre nulla in merito ai rumori o comunque in ausilio a queste norme, resta sempre applicabile l’art. 844 c.c. che disciplina le immissioni intollerabili (Unità immobiliare data il locazione, nel caso d’immissioni moleste l’unico responsabile è l’inquilino).
In sostanza chi ritiene che la lavatrice del vicino causi un rumore intollerabile potrebbe chiedere all’Autorità Giudiziaria di accertare tale intollerabilità (che dev’essere provata da chi la lamenta) al fine di ottenere l’inibizione di quel comportamento. Un’ipotesi, ad avviso di chi scrive, davvero molto improbabile.
È possibile lasciare le biciclette nel sottoscala comune?
Due le fonti da tenere in considerazione:
- a) la legge, ed in particolare gli 1102 e 1117-quater c.c.;
- b) il regolamento di condominio, laddove esistente.
Partiamo dalla legge. Ai sensi del primo comma dell’art. 1102 c.c. – dettato in materia di comunione ma pacificamente applicabile anche al condominio negli edifici in ragione del rimando contenuto nell’art. 1139 c.c. – ciascun condomino può utilizzare le cose comuni per soddisfare le proprie esigenze connesse al godimento della propria unità immobiliare, purché tale uso non alteri la destinazione del bene, non crei problemi alla sicurezza, alla stabilità ed al decoro dell’edificio e non limiti il pari diritto degli altri condòmini.
Pari diritto d’uso: Cosa debba intendersi per diritto al pari uso delle parti in condominio non vuol dire utilizzazione identica e contemporanea, “fruito cioè da tutti i condomini nell’unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine […]” (Cass. 16 giugno 2005 n. 12873).
Traslando questi principi sul piano concreto del deposito della bicicletta nel sottoscala si arriva a questa considerazione: è evidente che un sottoscala quasi sempre non sarebbe in grado di ospitare tutti i velocipedi dei condòmini. Ciò, però non sta a significare divieto assoluto di farne quell’uso da parte del singolo, ma necessita di regolamentazione e contemperamento degli interessi qualora più di uno volesse utilizzarlo in tal modo. Come per il parcheggio delle autovetture, quindi, se sorgessero esigenze della medesima specie si potrebbe arrivare ad un regolamentazione mediante un uso turnario. Da qui l’importanza del regolamento condominiale o di una delibera avente la medesima funzione, cioè quella di disciplinare l’uso delle cose comuni (art. 1138, primo comma, c.c.).
Se presente, o meno, un regolamento, nel caso di utilizzazione illegittima di un bene comune ciascun condomino potrebbe invocare la violazione dell’art. 1102 c.c. o comunque chiedere la cessazione dell’uso lesivo ai sensi dell’art. 1117-quater c.c. che recita:
“In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136”.
In definitiva: in linea di principio è possibile depositare una bicicletta nel sottoscala. Il condomino è proprietario esclusivo delle scale, ma non per forza delle sottoscale, fermo restando il pari diritto d’uso degli altri condòmini e la tutela della destinazione del bene comune. Si tratta di valutazioni da svolgere caso per caso che sfuggono ad una catalogazione astratta.