Delibere Assembleari – Impugnazione, Condominio e Supercondominio

Il condominio rappresenta una particolare forma di comunione che si delinea per effetto della necessaria coesistenza di proprietà esclusive e di proprietà in comunione tra i proprietari di queste. Definito tradizionalmente dalla giurisprudenza come ente di gestione, il condominio è costituito dalla peculiare situazione in cui si trovano due o più proprietà individuali al cui servizio sono posti altri beni e servizi indispensabili all’uso ed al godimento delle porzioni esclusive da parte di tutti i condomini.

La disciplina è affidata agli artt. 1117 e ss. c.c., interessati dalla riforma del 2012, Legge n. 220, che in più punti recepisce gli insegnamenti della giurisprudenza volti, nel corso del tempo, a chiarire i dubbi applicativi e/o interpretativi della previgente normativa.

Il nuovo art. 1117 c.c. amplia l’elenco delle “parti oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari”, che continua ad avere natura esemplificativa e non esaustiva, ponendo quale limite alla “presunzione di condominialità” il titolo, ovvero un atto di autonomia privata a cui è necessario far riferimento per verificare l’eventuale presenza della riserva della proprietà esclusiva del bene potenzialmente comune. Si tratta nello specifico del c.d. atto pilota, ovvero del primo atto con cui viene trasferita una singola unità immobiliare dell’edificio da parte dell’unico originario proprietario o dal costruttore: è questo il momento a cui deve ricondursi la nascita del condominio e quindi il bene che con il primo frazionamento ricade in comunione non può perdere tale qualità con un atto successivo.

Dunque i beni indicati nell’elenco dell’art. 1117 c.c. sono assistiti dalla presunzione di condominialità in ragione della destinazione all’uso o al godimento comune, essendo contraddistinte da una utilità strumentale al godimento delle singole unità immobiliari.

In questo, il nuovo art. 1117 c.c. non ha apportato alcuna modifica: il condominio non viene concepito dal legislatore come tutto unico, ma come un insieme di diversi beni contraddistinti dal vincolo strumentale alle unità immobiliari facenti parte del complesso condominiale.

A mero titolo esemplificativo, i beni condominiali, in seguito alla modifica dell’art. 1117 c.c. possono essere suddivisi in tre distinte tipologie: nella prima sono ricomprese tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come le fondazioni, i muri maestri, i tetti ed a cui sono stati aggiunti alcuni elementi architettonici quali i pilastri e le travi portanti, nella seconda, rientrano le aree destinate a parcheggio, nonché i locali per i servizi in comune come la portineria o la lavanderia a cui sono stati aggiunti le aree destinate a parcheggio, nonché i sottotetti come da tempo suggeriva la giurisprudenza. Infine nella terza rientrano le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque genere destinati all’suo comune come, “… gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo” che sostituiscono con una terminologia più attuale e realistica i vecchi acquedotti, fognature e impianti dell’acqua e del gas.

Nella disamina dei beni destinati al godimento comune che, come visto determinano il venire ad esistenza di un Condominio, giova dare rilievo all’art. 1117 ter c.c. dettato in tema di modifica delle destinazioni d’uso delle parti comuni.

In breve il procedimento: in presenza di esigenze di interesse condominiale e con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio, l’assemblea potrà modificare la destinazione d’uso della parti comuni, con il limite rappresentato dal divieto di modifiche che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico. La relativa convocazione, che a pena di nullità dovrà indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d’uso, dovrà essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso e dovrà, altresì, essere comunicata con lettera raccomandata o con mezzi telematici venti giorni prima la data della convocazione.

Un’osservazione appare immediata: la modificazione di destinazione d’uso significa che è possibile sottrarre un bene all’uso comune e destinarlo all’uso individuale? O che un bene comune resta tale nella sua natura, salva la facoltà per i condomini di attribuire ad esso una destinazione diversa, non potendolo distrarre dal suo vincolo strutturale e funzionale con il Condominio?

Secondo una prima interpretazione estensiva è riconosciuta ai condomini la possibilità di alienare e cedere parte della proprietà indivisa costituente il Condominio senza l’unanimità dei consensi, prima ritenuto imprescindibile. Ed in questo starebbe la novità, dal forte impatto applicativo, introdotta dalla Riforma. Questi gli argomenti a sostegno di tale conclusione:

  • l’inutilità della nuova norma qualora si restringesse l’ambito applicativo a modifiche del bene comune che resta tale, salva una sua nuova destinazione tendente al soddisfacimento di esigenze condominiali;
  • l’art. 1122 c.c. che, nel disporre il divieto di opere che possano recare danno alle parti comuni o pregiudizio alla stabilità, sicurezza o al decoro architettonico dello stabile, fa espresso riferimento alle parti destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale;
  • elevata maggioranza dei 4/5 che non avrebbe senso vista la possibilità di ricorrere ai quorum dell’art. 1136 c.c., applicabile all’ipotesi de qua.

Secondo, invece, la tesi restrittiva fondata sugli artt. 1102 c.c., 1108 c.c. e 1139 c.c., nonché sulla giurisprudenza di legittimità, l’art. 1117 ter c.c. consentirebbe all’assemblea solo di modificare la destinazione d’uso del bene senza poterlo assegnare in proprietà esclusiva.

Altra importante novità è lo spazio accordato dal legislatore, nell’ambito dell’art. 1117 c.c., alla MULTIPROPRIETA’ (“… anche se aventi diritto a godimento periodico …”).

Introdotta nel Codice del Consumo nel 2011 per effetto del recepimento della Direttiva comunitaria 2008/122, tale peculiare forma di proprietà si caratterizza per:

  • l’esistenza di una pluralità di diritti di godimento insistenti sullo stesso bene;
  • la titolarità di tali diritti in capo a più soggetti distinti;
  • esercizio turnario del diritto da parte del suo titolare.

Dunque il diritto di multiproprietà è un diritto di godimento individuale, a fronte del quale a ciascun beneficiario è riconosciuto il diritto di godere del bene in via esclusiva, ma per i soli periodi di tempo corrispondenti al periodo acquistato.

Aver inserito il diritto di godimento turnario sui beni comuni chiarisce che a ciascun multiproprietario viene attribuita, oltre ad una quota di comproprietà su una singola unità immobiliare anche il proporzionale diritto di comproprietà sulle parti comuni.

La quota di partecipazione è espressa con riferimento ed in funzione del valore attribuito al periodo acquistato da ciascun comproprietario ed è quindi commisurata alla durata dei possibili soggiorni, alla tipologia di appartamento ed ai periodi dell’anno scelti: contestualmente all’acquisto del bene, ogni comproprietario accetta il regolamento di condominio che deve prevedere un uso promiscuo della cosa comune e che assicura una divisione topografica del godimento del bene, limitandolo per ciascun comproprietario ad un prefissato periodo di ciascun anno. I comproprietari accettando il regolamento condominiale, si obbligano a contribuire all’amministrazione della cosa comune e a ripartire tra di loro i relativi costi sulla base dei millesimi a loro attribuiti.

Uno dei problemi creati da tale peculiare forma di proprietà è stata la sua ammissibilità nel nostro ordinamento basato sul principio del numero chiuso dei diritti reali e la sua previsione nell’ambito dell’art. 1117 c.c. pare averne risolto qualcuno.

La giurisprudenza, da sempre impegnata a chiarire la natura di tale istituto, ha concluso nella maggior parte delle pronunce rese, per la sua riconducibilità nell’alveo della comunione (Cass., 6352/2010), pur sottolineandone le indubbie peculiarità.

Ciò consente di comprendere le ragioni che hanno indotto il Legislatore a contemplarla nell’art. 1117 c.c.: considerando i rapporti tra comunione e condominio, intendendo il secondo come ipotesi peculiare della prima, in uno all’insegnamento maggioritario della giurisprudenza che vede nella multiproprietà una particolare ipotesi di comunione, si consente di qualificare la medesima come ulteriore ipotesi di diritto reale senza andare in contrasto con il principio del numero chiuso che caratterizza tali diritti.

Con l’introduzione nella disciplina condominiale dell’art. 1117 bis, fa inoltre il suo ingresso ufficiale nell’ordinamento il Supercondominio, trovando finalmente la sua definizione e articolazione. “Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117”.

Dunque secondo il disposto dell’art. 1117 bis, queste sono le ipotesi in cui potrà dirsi sussistente il supercondominio:

  • più unità immobiliari autonome o più edifici con beni o servizi in comune;
  • più gruppi di unità immobiliari autonome aventi ciascuna una organizzazione condominiale (c.d. condominii di unità immobiliari);
  • più gruppi di edifici condominiali ((c.d. condominii di edifici).

Dunque per Supercondominio deve intendersi un insieme di edifici ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale in virtù di impianti e/o servizi comuni in rapporto di accessorietà con i suddetti edifici, presentando così la necessità di organizzarsi e regolamentarsi in maniera unitaria.

Inoltre nell’art. 1117 bis, trova finalmente riconoscimento il c.d. “condominio orizzontale”, che si forma in presenza di una costruzione sviluppata in senso orizzontale con corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente che possono essere dotati di strutture portanti e di impianti essenziali come ad es. le villette a schiera. Anche nell’ambito di tali complessi condominiali vi sono beni e spazi che, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, devono necessariamente considerarsi di proprietà di tutti i condomini, beni che trovano un’elencazione esauriente proprio nell’art. 1117 c.c.

A tali realtà, per vero sempre più frequenti, il legislatore applica le norma sul condominio di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., se e nei limiti in cui vi sia compatibilità tra i due istituti. Applicabili saranno sicuramente le norme attinenti alla gestione dei servizi in comune, alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune o alle spese necessarie per la manutenzione dei beni comuni.

Tuttavia alla luce delle peculiarità che contraddistinguono il supercondominio, il Legislatore ha introdotto con la riforma puntuali disposizioni ad esso dedicate come l’art. 67 disp. Att. c.c., norma per lo più dettata con riferimento al funzionamento dell’assemblea.

Recita il terzo comma “Nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all’articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l’autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiamo nominato il proprio rappresentante, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di un solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all’autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell’amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini”.

Giova chiarire che perché sorga un supercondominio non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici abbiano in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell’elenco di cui all’art. 1117 c.c. (Cass. 19939/2012), in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili: dunque la presunzione di comunione opera anche quando si tratta di parti destinate al servizio di edifici separati e limitrofi come ad esempio un cortile o una portineria a servizio di più edifici.

Tornando alla disciplina dettata dall’art. 67 disp. att. c.c., si osserva come nel caso in cui i partecipanti ad un supercondominio siano superiori a sessanta, la possibilità per il singolo condomino di partecipare alle assemblee viene di fatto mortificata.

In tali situazioni, infatti, ogni condominio è obbligato a designare un proprio rappresentante che dovrà poi partecipare all’assemblea con poteri di decidere in ordine alla gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii ed alla nomina dell’amministratore. La relativa delibera deve essere assunta con le maggioranze di cui all’art. 1136, 5° comma, c.c.: maggioranza degli intervenuti e almeno due terzi del valore dell’edificio.

In mancanza ogni partecipante può chiedere all’Autorità giudiziaria (Tribunale del luogo in cui è sito il compendio condominiale) la nomina del rappresentante del proprio condominio. Detto rappresentante agirà, pertanto, quale mandatario di ciascun condominio.

Medesima facoltà di adire l’Autorità giudiziaria, viene riconosciuta ai rappresentanti già nominati, che dovranno diffidare il condominio inadempiente in persona dell’amministratore o, in mancanza, dei singoli condomini.

Importante, infine, precisare che il rappresentante di ciascun condominio non potrà essere il proprio amministratore visto l’espresso divieto di cui al comma 5 dell’art. 67 disp. Att. C.c. “All’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”.

Tutto resta, invece, invariato quando i partecipanti al supercondominio siano meno di sessanta: ciascun condomino mantiene il diritto di presenziare alle assemblee e di confrontarsi insieme agli altri sulle questioni di comune interesse.

Infine è opportuno precisare che, in caso di supercondominio, devono esistere due tabelle millesimali: la prima riguarda i millesimi supercondominiali e stabilisce la suddivisione della spesa tra gli edifici che costituiscono il complesso ed una interna a ciascun condominio (Cass. 19339/12).  Inoltre dal meccanismo di partecipazione all’assemblea generale del supercondominio dei rappresentanti di ciascun condominio, ne discende che le delibere adottate in seno alle stesse hanno efficacia diretta ed immediata nei confronti dei singoli condomini degli edifici che ne fanno parte, senza necessità di passare attraverso le delibere di ciascuna assemblea condominiale.

IMPUGNAZIONE DELIBERE ASSEMBLEARI

Le delibere assembleari rappresentano lo strumento attraverso cui i condomini esprimono le proprie decisioni in relazione agli atti di gestione, ordinari e/o straordinari, che si rendono necessari per l’amministrazione delle parti comuni.

Il legislatore, dopo averne disciplinato i requisiti di validità attraverso la previsione dei quorum costitutivi e deliberativi di cui all’art. 1136 c.c., detta il regime dell’impugnazione delle medesime, munendo ogni condomino assente, dissenziente o astenuto di uno strumento volto ad ottenere l’annullamento della decisione resa dall’assemblea, rivolgendosi all’Autorità giudiziaria competente.

Giova, pertanto, ricordare brevemente le patologie da cui una delibera assembleare può essere affetta ed in presenza delle quali l’ordinamento “reagisce”, sanzionando la medesima in diversi modi.

Dette patologie si distinguono tradizionalmente, a seconda della gravità del vizio che affligge la delibera, in ANNULLABILITA’ e NULLITA’.

Conviene premettere che in tema di condominio negli edifici, il codice non contempla la nullità.

Infatti l’art. 1137 c.c. codifica il vizio della annullabilità delle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, impugnabili innanzi all’Autorità giudiziaria su iniziativa del condomino assente, dissenziente o astenuto (precisazione degli assenti e degli astenuti inserita dalla Riforma), entro trenta giorni dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti, oda quella della comunicazione della medesima per gli assenti.

Tuttavia con l’introduzione dell’art. 1117 ter c.c. che, come sopra ricordato, prevede un’espressa ipotesi di nullità della convocazione dell’assemblea nel caso in cui non indichi le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d’uso, si ritiene che il Legislatore abbia introdotto una esplicita ipotesi di nullità.

In realtà ciò lo si deduce considerando che detto vizio radicale non pare possa essere affliggere la mera convocazione dei condomini, quanto piuttosto la delibera scaturita a seguito della celebrazione dell’assemblea preceduta da convocazioni incomplete.

Se si condividesse questa considerazione, ci troveremmo in presenza della prima ipotesi di nullità della delibera assembleare codificata dal Legislatore.

Al di là di tale ipotesi, per esemplificare altre evenienze al ricorrere delle quali l’ordinamento reagisce privando la delibera di qualunque efficacia abbia origine, è quanto mai opportuno citare una sentenza della Cassazione, n. 4806/2005, tutt’ora punto di riferimento per l’individuazione dei casi di nullità, ma anche di annullabilità.

In detta sentenza vengono individuate come ipotesi di invalidità insanabile: la mancanza degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, se incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini ed, infine, se invalide in relazione all’oggetto.

Ricorrendo una di tali ipotesi, la delibera risulta affetta da un vizio talmente grave da non produrre effetti ai sensi dell’ordinamento, con la conseguenza che non vincolerà alcun condomino.

Pertanto ciascun condomino, se vorrà, onde eliminare qualunque possibile incertezza che possa crearsi per effetto di una delibera nulla (che potrebbe anche essere messa in esecuzione), potrà adire l’Autorità giudiziaria per ottenere una sentenza “dichiarativa”, a cui cioè basterà dichiarare l’invalidità di cui è affetta la delibera, perché qualsiasi conseguenza questa abbia prodotto, venga travolto come se nulla fosse stato deciso.

REGIME AZIONE DI NULLITA’: legittimato attivo è chiunque vi abbia interesse, salvo l’interesse concreto ad agire ex art. 100 c.p.c, non è soggetta a termini di prescrizione, non è sanabile/convalidabile.

Le ipotesi di annullabilità sono invece individuate nelle ipotesi in cui la delibera è affetta da vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, adottate con maggioranze inferiori rispetto a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale, o affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, afflitte da irregolarità nel procedimento di convocazione e se violano norme richiedenti maggioranze in relazione all’oggetto. Ad esempio saranno annullabili quelle per le quali si è verificata la mancata convocazione di alcuno dei condomini o per omissioni relative alla individuazione dei condomini assenti, dissenzienti o al valore delle rispettive quote.

In tali ultimi casi l’art. 1137 c.c., attribuisce al condomino assente, dissenziente o astenuto la facoltà di adire l’Autorità giudiziaria, entro trenta giorni dalla data della deliberazione (per gli astenuti o dissenzienti) o da quella della comunicazione (per gli assenti) della medesima, per ottenerne l’annullamento.

REGIME AZIONE DI ANNULLAMENTO:

  • Giudice competente è il Giudice Civile che sarà individuato ora nel giudice di Pace, ora nel Tribunale, a seconda del valore e della materia: sarà competente il Giudice di Pace per controversie il cui valore non ecceda € 5.000 e, indipendentemente dal valore della causa, è altresì competente qualora la controversia riguardi la misura e le modalità d’uso dei servizi di condominio o per cause relative a rapporti tra proprietari e detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni che superino la normale tollerabilità.

Per controversie vertenti altri oggetti o il cui valore superi gli € 5.000, sarà competente il Tribunale.

La Riforma è intervenuta a specificare la competenza territoriale: ex art. 23 c.p.c., il Giudice individuato in base al valore ed alla materia, sarà quello del luogo ove è sito l’immobile in condominio, indipendentemente da dove l’amministratore abbia il proprio domicilio.

  • Atto introduttivo. La Riforma sul punto ha fatto chiarezza: l’eliminazione dal precedente testo dell’art. 1137 c.c. del riferimento al termine “ricorso”, che aveva ingenerato perplessità applicative al punto da giungere a ritenere che fosse utilizzabile tanto il ricorso quanto la citazione necessitando poi dell’intervento delle S.S.U.U. a favore della citazione, consente di concludere serenamente che l’impugnazione della delibera va fatta con atto di citazione la cui disciplina è prevista dagli artt. 163 c.p.c. e ss..
  • Legittimazione attiva. Come espressamente stabilisce l’art. 1137 c.c. legittimati a proporre l’azione di annullamento della delibera sono i condomini assenti, dissenzienti o astenuti, recependo quanto agli astenuti gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità volta ad attribuire anche a loro la legittimazione attiva all’impugnazione delle delibere invalide.

Sono, altresì, legittimati: il conduttore per quanto concerne le delibere dell’assemblea che abbiano deciso in merito alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e condizionamento d’aria e l’usufruttuario per quanto riguarda le delibere che hanno statuito in merito a spese di ordinaria amministrazione che lo stesso debba sostenere ai sensi dell’art. 1004 c.c. e per le quali è facoltizzato ad esprimere il proprio voto dall’art. 67, 6° comma, disp. Att. c.c.

  • Sospensiva. L’art. 1137 c.c. chiarisce che l’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione. Conseguentemente, il condomino dovrà farne oggetto di specifica istanza all’interno del suo atto di citazione.

Inoltre è stabilito che l’istanza di sospensione della deliberazione proposta prima dell’inizio della causa di merito, non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della medesima, dovendosi concludere come su anticipato: l’impugnazione della delibera e l’istanza sospensiva si concretizzeranno contestualmente con un medesimo atto che, come già visto, sarà l’atto di citazione.

Giova, infine, per spirito di completezza fare un breve richiamo alla mediazione.

Ai sensi dell’art. 71 quater c.c. e dell’art. 5, 1° comma, D.lgs 4 marzo 2010, n. 28 le controversie in materia condominiale sono soggette al tentativo di mediazione, a pena di improcedibilità del giudizio ordinario.

Ciò consente di affidare ad un Organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del Tribunale nella quale il Condominio ha la sua sede, la controversia in materia condominiale derivante dalla violazione o errata applicazione degli artt. da 1117 a 1139 c.c., accedendo così ad un procedimento snello e rapido (di durata massimo di quattro mesi), che termina con un verbale di accordo il cui contenuto, qualora non contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, viene omologato su istanza di parte dal Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di mediazione, divenendo così titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.ù


Delibere Assembleari – Nullità

Cassazione civile, sez. II, 27/05/2016 n. 11034

L’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti macchina all’interno di un’area condominiale è illegittima, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune. Detta assegnazione è lesiva di un uso e godimento paritario del bene, apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.

È nulla la delibera assembleare presa a maggioranza che approvi un’utilizzazione particolare da parte di un singolo condomino di un bene comune, qualora la diversa utilizzazione, senza che sia dato distinguere tra parti principali e secondarie dell’edificio condominiale, rechi “pregiudizievoli invadenze” nell’ambito dei coesistenti diritti altrui. Lo ha affermato la Cassazione che, nella specie, ha ritenuto illegittima l’assegnazione esclusiva e a tempo indeterminato di posti macchina all’interno di un’area condominiale, determinante una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene.

In tema di condominio, costituisce innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120, comma 2, c.c., l’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti auto all’interno di un’area condominiale, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune, con conseguente nullità della relativa delibera.

Mentre è legittima la delibera, anche assunta a maggioranza, che permette l’utilizzo turnario dei posti auto tra i vari condomini, non lo è quella che delibera la trasformazione del cortile comune in posto auto riservato perennemente ad un singolo condomino o in favore di un gruppo specifico di condomini in quanto, in questo caso, viene leso il diritto di ciascun condomino di utilizzare i beni comuni. La delibera assunta a maggioranza, che riserva solo in favore di alcuni condomini l’utilizzo esclusivo del cortile deve essere dichiarata nulla e, come tale, può essere impugnata ben oltre il termine di trenta giorni previsto per l’impugnativa delle delibere nulle.

Cassazione civile, sez. II, 26/04/1994 n. 3946

È affetta da nullità – e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 c.c. – la deliberazione dell’assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un condomino, come quella che ponga a suo carico totale le spese del legale del condominio per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza di una sentenza che ne sancisca la soccombenza, e detta nullità, a norma dell’art. 1421 c.c, può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia espresso voto favorevole alla deliberazione, ove con tale voto non si esprima l’assunzione o il riconoscimento di una sua obbligazione.

È affetta da nullità – e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 c.c. – la deliberazione dell’assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un condomino, come quella che ponga a suo totale carico le spese del legale del condomino per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza di una sentenza che ne sancisca la soccombenza, e detta nullità, a norma dell’art. 1421 c.c., può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia espresso voto favorevole alla deliberazione, ove con tale voto non si esprima l’assunzione o il riconoscimento di una sua obbligazione.

Pertanto:

  • È legittima la delibera che autorizzi singoli condomini ad un uso turnario, limitato nel tempo, di un bene comune.
  • È nulla la delibera che autorizzi singoli condomini ad un uso esclusivo a tempo indeterminato di un bene comune.