La tripartizione dell’art.1117 del codice civile
Sulla scia della tripartizione operata del legislatore all’art 117 cod.civ., va distinto all’interno della categoria generale delle patti comuni, due sotto-categorie: parti comuni necessarie e parti comuni eventuali. Questa distinzione ci conduce a ritenere che le parti necessarie all’uso comune, sono quelle indicate dalla lettera a) dell’art 117 cod.civ., e siano attratte da un regime di comune appartenenza necessaria.
Tra le parti comuni necessarie rientrano sicuramente tutte quelle parti comuni che consentono al singolo condomino di poter accedere all’edificio condominiale e conseguente, al suo appartamento. Tutte queste parti comuni sono quindi caratterizzate dalla funzione di consentire la comunicazione delle proprietà individuali con le altre parti del fabbricato e con l’esterno. La loro appartenenza comune si giustifica dalla loro destinazione al collegamento degli spazi di proprietà comune o individuale. Infatti tali spazi di disimpegno pur potendo svolgere funzioni diverse tra loro, possono essere tutti individuati e ricondotti a quei bei che il legislatore identifica come “vestiboli, anditi, e portoni di ingresso”, individuati espressamente nel n. 1 dell’art.1117 cod.civ.
L’andito e l’androne
Lo spazio interposto fra il portone di ingresso, che mette in comunicazione l’edifico condominiale con la strada, e le scale è il c.d. ingresso dell’edificio a cui l’art 1117 cod.civ. fa riferimento menzionando i vestiboli e gli anditi come parti necessario all’uso comune.
La nozione di andito è idonea a identificare genericamente “qualsiasi spazio di accesso agli appartamenti singoli e alle altre parti dello stabile”, in quanto può essere concretamente identificato come un luogo di disimpegno o di entrata, svolgente funzione di transito dei singoli condomini.
La giurisprudenza ha identificato l’andito quale “struttura costituita dal soffitto e dalla soletta che orizzontalmente divide in piani separati il corridoio d’accesso e la sovrastante costruzione”. Per la stessa conformazione, l’andito è considerato come parte comune in quanto in base alla definizione dinanzi riportata, esso è un ambiente costituto da altri elementi quali corridoi, piano calpestio, muri laterali e soffitto che sono tutti quanti elementi di proprietà comune .
Sinonimo di andito è l’androne che è anche esso uno spazio di accesso ubicato esclusivamente all’ingresso del fabbricato e destinato a mettere in comunicazione il portone di ingresso con le parti più interne del fabbricato quali per esempio scale, appartamenti. E’ comunque un’area adibita al transito degli inquilini o dei proprietari aventi negozi/uffici situati all’interno del cortile condominiale. Qualora l’androne assuma la forma di un corridoio, viene identificato anche con il termine “andito“, con il quale si indica ugualmente un luogo di passaggio. Tutto ciò che costituisce l’ingresso (portone, vestibolo, androne) è necessariamente comune ai sensi dell’art 1117 c.c., in quanto le predette parti costituiscono in senso oggettivo, funzionale e strutturale elementi portanti dell’edificio.
Quanto alla proprietà dell’androne, la giurisprudenza e la dottrina è uniforme nell’estenderla anche ai condòmini che siano proprietari di unità immobiliari che non abbiano accesso su di esso (si pensi, ad esempio, ad un negozio che affaccia direttamente sulla pubblica via). Ciò perché quest’area, come le scale, costituisce elemento necessario per la configurabilità stessa di un fabbricato diviso in piani o porzioni di piano di proprietà individuale e rappresenta un tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura.
Come abbiamo prima accennato, l’androne svolge la funzione di ingresso del palazzo, ed è destinato a servire tutti i proprietari dei piani, per cui le spese di manutenzione ordinaria/straordinaria, pulizia, imbiancatura, riparazione, ricostruzione dello stesso, vanno ripartiti secondo le quote millesimali ex art 1123 c.c. Per quanto riguarda, invece, le spese sostenute per l’arredo dell’androne, fatto nei limiti ragionevole di spesa, non è qualificabile come una innovazione, perché trattasi di un semplice abbellimento di una parte comune. Le spese di arredamento – mobili, fioriere, ecc.- devono, quindi, considerarsi finalizzati ad una miglioramento delle parti comuni e quindi vanno ripartite secondo le quote millesimali, senza nessuna possibilità di esonero dalla spesa per la minoranza dissenziente.
Riguardo le ripartizione spese nei confronti di proprietari di locali con accesso diverso dall’androne, partendo dal presupposto che spesso l’androne è collocato in modo che vi possano accedere non solo i proprietari dei piani sovrastanti l’androne stesso, ma anche i proprietari dei locali. Ci si chiede allora se in tale contesto, i proprietari di tali locali debbono ugualmente sottostare al medesimo regime di ripartizione spese attuato per i proprietari delle unità immobiliari. Per una soluzione positiva alla partecipazione delle spese di manutenzione, da parte dei proprietari dei locali, che pur ricompresi nello stabile condominiale, abbiano accesso diverso dall’androne in questione, si è pronunciata la Corte di Appello di Milano, la quale basandosi sulla considerazione che l’androne, come le scale, costituisce un elemento necessario per la configurazione stessa del fabbricato e rappresenta uno strumento indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, ha stabilito che anche le spese di manutenzione dell’androne dovranno essere suddivise secondo l’art 1123, c.1 cod.civ.
In tema di innovazioni poste in essere nell’androne la Suprema Corte ha affermato che l’apertura di una porta da parte di un condomino nel muro comune dell’andito di ingresso dell’edificio condominiale, non alterava l’entità materiale del bene né modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita modificazione della cosa comune a norma dell’art. 1102 c.c. Lo stesso dicasi per l’installazione dell’ascensore non costituisce innovazione ex art.1120 c. c., non alterando la destinazione originaria né dell’androne, che è essenzialmente quella di fornire l’accesso alla scala né della tromba d’aria, che è quella di dare aria e luce alla medesima scalinata. Invece la chiusura dell’androne con un cancello costituisce una innovazione e come tale rientra nella previsione ex art. 1120 cod.civ.. Pertanto, la sua introduzione puo essere approvata con una maggioranza di almeno 667/1000 di proprietà. Infatti, il Tribunale di Milano con sentenza del 10-3-1989 ha sancito la nullità della delibera che aveva disposto permanentemnte la chiusura dell’androne sensna prevedere nessuna forma di apertura da parte dei soggetti legittimati al passaggio automobilistico.
I pianerottoli
I pianerottoli non vengono espressamente ricompresi dall’art. 1117 c.c. tra le parti comuni dell’edificio, tuttavia, per la funzione di disimpegno che essi svolgono, possono sicuramente farsi rientrare tra i «vestiboli e anditi» richiamati dal suddetto articolo, per cui il regime di proprietà comune sancito per questi ultimi può essere agevolmente esteso anche ad essi.
Va innanzitutto ricordato che i pianerottoli, quali elementi essenziali delle scale di accesso ai diversi piani dell’edificio in condominio, sono per presunzione di legge, salvo diverso titolo, in comproprietà fra tutti i condomini. Pertanto, la loro utilizzazione da parte dei singoli condomini è soggetta alla disciplina propria dell’uso individuale della cosa comune. Va però osservato che, nel caso in cui una delle cose elencate dall’art. 1117 cod. civ. serva per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali al godimento di una parte dell’edificio in condominio, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, viene meno la presunzione legale di comunione della cosa, derivante dalla sua destinazione all’uso comune, in quanto in tale ipotesi la presunzione è vinta dalla particolare destinazione della cosa, così come è superata dalla presenza di un titolo contrario. La presunzione di comproprietà deriva anche dal fatto che i pianerottoli costituiscono elementi essenziali delle scale di accesso ai diversi piani (espressamente elencate tra le parti comuni nell’art. 1117, al n. 1), delle quali rendono possibile la funzione. Ne consegue che il pianerottolo non può essere incorporato nell’appartamento di proprietà esclusiva di un singolo condòmino, in quanto tale comportamento configurerebbe una utilizzazione esclusiva del bene, lesiva del diritto degli altri condòmini di farne parimenti uso, oltre ad un’alterazione della destinazione di esso. Infine, in ordine al regime pertinenziale, il Tribunale di Napoli, sez. III, 08-01-1998 ha precisato che, anche nel caso che esso sia destinato unicamente all’accesso di una o più unità immobiliari di uno stesso condominio, non costituisce pertinenza di dette unità immobiliari, bensì conserva la sua natura di bene condominiale, a meno che diversamente non emerga dai titoli di proprietà.
Per quanto attiene alle spese di manutenzione e ricostruzione dei pianerottoli, ove gli stessi siano da considerarsi comuni, vanno ripartite in base al criterio di cui all’art. 1124 c.c., sì da gravare per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo, mentre quelle relative ai pianerottoli esclusi dalla comunione e riservati in proprietà esclusiva a singoli condòmini, per l’accesso ai loro appartamenti, sono sopportate integralmente da questi ultimi. La spesa di pavimentazione del pianerottolo deve essere riparita fra utti i proprietari dei diversi piani a cui servono, ex art. 1124 cod.civ., per metà in ragione al valore dei singoli piani o porizoni di esso, e per l’altra metà in proporzionae alla altezza di ciascun piano.
Riguardo le modalità d’uso del pianerottolo, secondo un principio, ormai consolidato, tale diritto compete a ciascun condomino, ma è limitato nel suo contenuto, dalla sua destinazione della cosa comune, Pertanto, la loro utilizzazione da parte dei singoli condomini e’ soggetta alla disciplina propria dell’uso individuale della cosa comune, con la conseguenza che e’ del tutto legittima la creazione di una seconda porta di ingresso ad un appartamento di proprietà’ esclusiva, in corrispondenza del pianerottolo antistante, purche’ non limiti il godimento degli altri condomini e non arrechi pregiudizio all’edificio ed al suo decoro architettonico. Inoltre, tale operazione non altera la destinazione del muro che continua a svolgere la funzione di divisorio tra la proprietà esclusiva ed il pianerottolo stesso, né la destinazione di quest’ultimo che quella di accesso dei condomini alle proprietà esclusive.
In merito alla incorporazione la giurisprudenza vieta tale atto quanto la stessa sia effettuata nelle porzioni di proprietà esclusiva.
Quindi quando una cosa per proprie obiettive caratteristiche tecniche è ad esclusivo servizio di un solo gruppo di condomini o addirittura di un singolo condomino, questa forma oggetto di proprietà separata, disgiungendosi dalla presunzione di comunione voluta dall’art. 1117 c.c..E ciò è tanto vero che la Suprema Corte si avvale di questo indiscusso concetto per affermare il caso contrario, quello cioè in cui un pianerottolo, sia pure all’ultimo piano, ma faccia parte di una scala unica, in tale ipotesi qualsiasi indagine è superflua: il pianerottolo e la relativa scala sono comuni a tutti i comproprietari dello stabile.
La Cassazione, in base all’enunciato principio, aveva chiarito e dichiarato illecito l’essersi attribuito la proprietà esclusiva del pianerottolo dell’ultimo piano dell’edificio condominiale. Pianerottolo che, per definizione, è scala piana e nel caso in esame scala piana terminale dell’unica scala comune, non menzionata in proprietà esclusiva nel titolo d’acquisto e quindi comune a tutti i condomini, a norma dell’art. 1117 c.c. Ma sentenze sul medesimo argomento si susseguono negli anni, perché le violazioni delle norme da parte dei condomini e le domande al magistrato si sovrappongono affinché chiarisca i fatti ai trasgressori e reintegri nel possesso comune gli spazi condominiali abusivamente incorporati nella proprietà esclusiva. Il 2 agosto 1990 la Suprema Corte pronuncia una sentenza, la n. 7704, perché un condomino aveva inteso fosse di sua esclusiva proprietà il pianerottolo prospiciente il suo appartamento, l’unico all’ultimo piano dello stabile. Concludendo su tale aspetto, alla luce dei principi esposti possiamo quindi affermare che: i pianerottoli, parti componenti essenziali delle scale comuni, non possono essere incorporati nell’appartamento di proprietà esclusiva del singolo condomino, in quanto tale incorporazione costituisce appropriazione del possesso esclusivo di una parte comune in danno degli altri condomini.
Ugualmente, in termini più generici si può affermare che si verifica una alterazione quando il godimento particolare ed inconsueto del singolo condomino determina pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti altrui, quali asservimenti, immissioni, molestie. I suddetti principi sono stati ripetutamente affermati in giurisprudenza, talché si può ragionevolmente ritenere che la collocazione di zerbini sul pianerottolo comune sia consentita al singolo condomino purché ciò non costituisca ostacolo all’agevole accesso alle scale da parte degli altri condomini. Lo stesso dicasi per l’installazione di una telecamera nel pianerottolo comune che consenta la sola diretta osservazione del portone di ingresso e dell’area antistante la porta d’ingresso alla singola unità immobiliare, mentre non è ammissibile l’installazione di apparecchiature che consentono di osservare le scale, gli anditi e i pianerottoli comuni, in quanto ciò comporta una possibile lesione e compressione dell’altrui diritto alla riservatezza.
La valutazione della liceità dell’utilizzo realizzato dal singolo va valutata caso per caso in concreto avuto riguardo alla necessità di assicurare a tutti i condomini gli stessi diritti d’uso del bene comune. Anche recentemente la Corte di Cassazione ha nuovamente chiarito i diversi concetti di utilità e di utilizzo delle parti comuni di un edificio da parte del singolo condomino, sottolineando che alcune parti comuni, come ad esempio scale, portoni, portici, ecc., risultano utili alle singole unità immobiliari, a cui sono unite materialmente o per destinazione funzionale, in maniera soggettiva, dipendendo l’utilizzo dall’attività dei proprietari di queste ultime.
Le scale
La disciplina relativa alle scale degli edifici condominiali è regolata principalmente dall’art. 1117, n. 1, il quale stabilisce che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, anche le scale, quali parti dell’edificio necessarie all’uso comune. L’art. 1123, invece, si occupa della ripartizione delle spese, stabilisce in primo luogo che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (comma 1); mentre nei commi successivi si aggiunge che, se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne (comma 2) e che, qualora un edificio abbia, tra l’altro, più scale destinate a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità (comma 3). Infine l’art. 1124, riguarda specificamente la manutenzione e la ricostruzione delle scale, prevede che le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono e che la spesa relativa deve essere ripartita tra i proprietari dei diversi piani a cui servono, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo; si precisa inoltre che, al fine del concorso nella metà della spesa che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune.
Riguardo il loro uso, il condomino ha diritto di utilizzare, a norma dell’art. 1102 comma 1 cod. civ., i vani delle scale, in genere, o i pianerottoli, in particolare, collocando davanti alla porta d’ingresso zerbino, piante o altri oggetti ornamentali; ma questo diritto non sussiste quando tali oggetti costringono gli altri condomini a disagevoli o pericolosi movimenti, perché rendono difficoltosi l’accesso alle rampe delle scale e così risulta violato il principio per cui l’uso della cosa comune, da parte di un comunista, non deve impedire agli altri comunisti un uso tendenzialmente pari della medesima cosa.
Per quanto riguarda la spesa per la manutenzione delle scale deve essere ripartita tra i vari condomini in quote diverse, in rapporto alla diversità d’uso, applicando il principio previsto dall’art. 1124 cod. civ. Però va precisato che sempre in relazione alle spese per le scale è stato affermato che l’art. 1124 è derogabile con patto negoziale e quindi anche col regolamento condominiale di tipo convenzionale e quindi vincolante nei confronti di tutti i partecipanti.
In tema di ripartizione di oneri condominiali, le spese per la illuminazione e la pulizia delle scale non configurano spese per la conservazione delle parti comuni, che tendono cioè a preservare l’integrità e a mantenere il valore capitale delle cose (artt. 1123, comma 1, e 1124, comma 1, cod. civ.), bensì spese utili a permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie; con la conseguenza che ad esse i condomini sono tenuti a contribuire, non in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in base all’uso che ciascuno di essi può fare delle parti comuni (scale) in questione, secondo il criterio fissato dall’art. 1123, comma 2, cod. civ.. È illegittima la delibera di un’assemblea condominiale che decida a maggioranza di applicare una quota suppletiva del 60% relativamente alla voce “pulizia scale” nei confronti di un condomino proprietario di un ufficio professionale privato